Terrorismo e Jihad: una lettura psicologica

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“Vi è stato ordinato di combattere, anche se non lo gradite. E’ possibile che abbiate avversione per qualcosa che invece è un bene per voi, e può darsi che amiate una cosa che invece vi è nociva. Allah sa e voi non sapete.” (Corano 2:216)

Siamo tutti a conoscenza di quello che è successo e continua a succedere in questo periodo, dalla strage avvenuta nella redazione di Charlie Hebdo a Parigi a quella perpetuata in Camerun, passando per la Nigeria e la Siria. Parte dell’Occidente è in guerra con un gruppo estremista che si definisce Isis o meglio IS (Stato Islamico). Le varie organizzazioni tradizionali mussulmane nel mondo non riconoscono e respingono l’IS. Amnesty International ha accusato l’IS di una serie di crimini di guerra. Le democrazie dei vari stati europei si schierano contro l’efferatezza delle violenze perpetuate dai suoi combattenti nei confronti dei civili. Ma il dato più urgente e che richiama la nostra attenzione è che nelle file dei combattenti dell’IS si schierano dei cittadini occidentali. Cittadini occidentali che vengono reclutati e addestrati per combattere una guerra contro ciò che l’occidente rappresenta. Come mai queste persone sono attratte da posizioni di pensiero e azione così radicali? Come mai sposano le convinzioni e la mission di organizzazioni estremiste e violente?

Quale bisogno si soddisfa abbracciando l’estremismo?

fondamentalismo islamicoEsiste un sondaggio del 2006 riguardante i mussulmani britannici, fatto in Gran Bretagna e citato all’interno del giornale di Criminologia Europeo. Analizzando i dati del sondaggio si è notato che alcuni di loro si sentono prima di tutto mussulmani e in secondo luogo britannici. Coloro i quali hanno questa visione manifestano apertamente della simpatia verso concetti come: jihad e martirio.
Secondo Randy Borum, professore di criminologia e psicologia dell’ University of South Florida, il motivo per cui alcune persone sono più propense ad abbracciare l’estremismo è da ricondurre al bisogno di appartenenza insito in ogni essere umano. Questi soggetti manifestano a livello psicologico una vulnerabilità proprio sul loro bisogno di sentirsi che appartengono a qualcosa che gli dia un senso. È indicativo il dato che queste persone non si riconoscono e non trovano molto senso nel sentirsi britannici, ma invece nel sentirsi mussulmani. Molti potenziali terroristi trovano nei movimenti radicali e nei gruppi estremisti il senso della vita, di significato, di connessione e di appartenenza. È come se appartenere ai gruppi estremisti ed abbracciare le loro ideologie aiuti le persone ad affrontare le loro insicurezze riguardo se stessi e il mondo che abitano. Scrive Gibbs (2005): “per molte persone, i movimenti religiosi estremisti offrono una situazione di comfort esistenziale, reprimono l’ansia di non-essere, riempiono il vuoto con sistemi e strutture di credenze auto-protettive… “.

Da quale ceto sociale provengono gli estremisti?

Sempre nel 2006, l’Università di Leida in Olanda, ha pubblicato un report riguardante centinaia di terroristi islamici della jihad in Europa. Delle 242 persone identificate, la maggior parte erano adolescenti o avevano massimo 20 anni, e solo cinque erano donne. Il dato interessante che è emerso è che la maggior parte degli estremisti islamici provengono da ambienti sociali medio-alti. Non provengono come si pensava da classi sociali disagiate e deprivate. Anzi la maggior parte di queste persone tendono ad avere un buon livello di istruzione.

Il ruolo delle scritture violente

« Combattete contro coloro che vi combattono, ma senza eccessi. »
(Corano 2,190)
« Se vi assalgono uccideteli, se però cessano allora Allah è perdonatore »
(Corano 2, 191-192)
« Combatteteli finché non ci sia più persecuzione. »
(Corano 2, 193.)
« Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati. Se poi si pentono, eseguono l’orazione e pagano la decima, lasciateli andare per la loro strada. Allah è perdonatore, misericordioso. »
(Corano 9,5)
« Combattete coloro che non credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati. »
(Corano 9,29)

Esistono nella Bibbia e nel Corano dei passaggi che incitano alla violenza. I teologi, coloro che studiano il significato delle sacre scritture, ci insegnano che questi incitamenti non devono essere presi alla lettera, ma spesso hanno un significato allegorico, sono metafore frutto dei tempi e del contesto in cui sono state scritte.
Una ricerca del 2007, condotta da Bushman et co., ha messo in luce un aspetto legato alla lettura di scritti violenti: inducono a un comportamento aggressivo, confermando l’assunto della terza legge della psicodinamica formulata da R. Assagioli (cit. “Le idee e le immagini tendono a suscitare le emozioni ed i sentimenti ad esse corrispondenti”). È stato inoltre dimostrato che il dato aumenta di incidenza se i lettori sono dei credenti.

La maggior parte degli estremisti sono “matti”?

jihadIn due pubblicazioni del 2008 e del 2014, due professori universitari Borum e Silke sono entrambi d’accordo nel dire che gli estremisti non soffrono di malattie mentali. Sul finire degli anni ’90, per circa tre anni, sono stati intervistati 250 palestinesi membri di Hamas e Jihadisti vari. Sembrerà strano, ma dall’analisi di queste interviste è emerso che queste persone parlavano sì con freddezza riguardo agli attentati e alle vite delle persone coinvolte in essi, ma senza manifestare segni clinici di psicopatologie importanti. Anzi le loro azioni era ben motivate da profonde convinzioni religiose e filosofiche, le quali li portavano a considerarsi dalla parte del giusto.
Per cui la ricerca di una eventuale psicopatologia che funga da spiegazione per una scelta di vita così radicale è da escludere.
Anzi, è da aggiungere che quando i leader delle cellule terroristiche arruolano gente nuova, valutano con attenzione se le persone in questione mostrano dei segni di squilibrio mentale riconducibili a forme di psicopatologie gravi e nel caso non esitano dallo scartarli.
Un ulteriore dato interessante proviene da uno studio effettuato dal prof. M. Sageman, psichiatra dell’University of Pennsylvania, che ha esaminato centinaia di documenti federali e registrazioni di terroristi islamici. Da questi dati emerge che i terroristi non sono quello che comunemente si crede nell’opinione pubblica, e cioè delle persone isolate a livello sociale, dei disperati appartenenti alle classi degli ultimi, ai quali è stato fatto il lavaggio del cervello. Anzi, come dicevamo in precedenza, sono persone che provengono in maggioranza da famiglie nelle quali erano presenti affetto, educazione ed istruzione. Che tipo di educazione e di istruzione è poi da vedersi.
A questo proposito, un altro dato interessante è quello che l’educazione con la quale sono cresciuti è spinta più nella direzione della separazione, della contrapposizione e dell’odio verso le diversità.
Freud ci insegna che ciò che si odia negli altri, spesso è qualcosa che non si vuole vedere dentro di sé. Il conflitto che ne nasce alimenta le dinamiche di distruzione. La rabbia, l’odio sono dei fuochi che si autoalimentano fino alla distruzione avvenuta dell’ipotetico “avversario”. Ma in questo modo ci saranno sempre nuovi avversari. Perché i veri avversari siamo noi stessi. È una lezione che abbiamo imparato bene dai totalitarismi europei del secolo scorso (vedi fascismo, nazismo, comunismo). Il rischio che si viene a creare è che la linea tra vincitori e vinti risulta molto sottile.

Per approfondire:

Psicologia della paura: i nuovi terroristi, il ruolo dei media e l’ignoranzacharlie hebdo

IL FONDAMENTALISMO RELIGIOSO Contributi per il discernimento (Ed. Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2003, pp. 272, € 15,00, Isbn 88-401-4004-2)

Film: Mio figlio il fanatico (1998)

La psicologia della jihad

Istituto per gli studi di politica internazionale – articoli jihad


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Gioele D'Ambrosio

Psicologo, psicoterapeuta. Esperto in disturbi d'ansia e dell'umore, attacchi di panico, dipendenze affettive, supporto alla genitorialità e alla famiglia. Conduce gruppi per la crescita personale, lo sviluppo della consapevolezza e della spontaneità. Leggi gli altri articoli di Gioele D'Ambrosio.

2 Risposte

  1. Andrea Vincenzi ha detto:

    L’articolo dice alcune cose vere, mi spiace solo constatare che e’ scritto in un Italiano molto lontano dalla perfezione grammaticale, sintattica e stilistica.

  1. 10 Agosto 2015

    […] Terrorismo e Jihad: una lettura psicologica – Qui psicologia //= 360 ) { av_size = '336X280'; } else { av_size = '300X250'; } } var […]