Felicità e infelicità: due sentimenti inscindibili

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Vorrei iniziare con un breve estratto dal libro “Istruzioni per rendersi infelici” di Paul Watzlawick.

Un uomo vuole appendere un quadro. Ha il chiodo, ma non il martello. Il vicino ne ha uno, così decide di andare da lui e di farselo prestare. A questo punto gli sorge un dubbio:E se il mio vicino non me lo vuole prestare? Già ieri mi ha salutato appena. Forse aveva fretta, ma forse la fretta era soltanto un pretesto ed egli ce l’ha con me. E perché? Io non gli ho fatto nulla, è lui che si è messo in testa qualcosa. Se qualcuno mi chiedesse un utensile, io glielo darei subito. E perché lui no? Come si può rifiutare al prossimo un così semplice piacere? Gente così rovina l’esistenza agli altri. E per giunta s’immagina che io abbia bisogno di lui solo perché possiede un martello. Adesso basta! E così si precipita di là, suona, il vicino apre, e, prima ancora che questo abbia il tempo di dirgli “buon giorno”, gli grida: “Si tenga pure il suo martello, villano!”

 

felicità

Assaporare la felicità

Questo è uno dei tanti esempi che l’autore fa riguardo l’impossibilità di conseguire un esistenza felice. Perché nulla è più difficile da sopportare di una serie di giorni felici. Si perché l’infelicità è una costante della vita umana, essa ci è necessaria quanto indispensabile per poter assaporare gli attimi di felicità che costellano le nostre esistenze. Qualcuno obietta che con la felicità non si sfamano i popoli, come nella storiella ebraica in cui il figlio annuncia al padre che vuole sposare la signorina Kantz. “Il padre obietta che la signorina Kantz non ha dote e il figlio ribatte dicendo che solo con lei potrà essere felice. Al che il padre chiede: ‘Essere felice, e cosa ne ricavi?’”. Potremmo allora  trovare numerosi esempi circa le capacità di renderci infelici. È facile infatti coltivare l’infelicità, basti pensare al tempo che utilizziamo per lamentarci di ogni cosa, dal meteo al traffico, perdendoci in questo modo di vista i doni che propone l’istante presente.

Un’altra dose di infelicità la aggiunge anche la nostra capacità di restare legati ai ricordi: “Non mi dimenticherò mai di te e di questi momenti!!”. Persistendo infatti nella rievocazione del malinconico ricordo non ci rendiamo conto di cosa in realtà stiamo alimentando dentro di noi, come le illusioni. Perché il ricordo sarà sempre e comunque parziale. Per esempio, mi è capitato in passato di pensare ad una fidanzata con la quale c’era stata un’appassionante e allo stesso tempo burrascosa relazione. Mi accadeva, una volta lasciati, di ricordare solo i giorni felici passati insieme, senza invece considerare la maggior parte del tempo passato con malumori e tensioni. È strana la mente umana, vero? Quanto ci inganna e quante illusioni spesso nutre. 

 

Oltre le nostre illusioni

Una delle illusioni più nocive e pericolose che ci impediscono di essere quali potremmo essere e di vivere una vita più serena, è quella di credere di essere fatti “tutti di un pezzo”, di avere quindi una personalità ben definita. Di solito il nostro interesse e la nostra attività sono presi da problemi esterni, cose pratiche, compiti e traguardi che sono fuori di noi. Presi da questi miraggi trascuriamo di sapere chi e che cosa siamo, di conoscerci a fondo e essere padroni di noi stessi. Questo ci fa vivere in perenne stato di instabilità di disagio e di mancanza di sicurezza. Restiamo sempre fedeli ai nostri principi, a non cambiare mai idea o atteggiamento o comportamento, ad allarmarsi se dentro di noi compaiono pensieri o emozioni spesso in conflitto, o che non abbiamo mai provato o che crediamo “strani”. E’ facile constatare tutto questo osservandoci con un po’ di attenzione e sincerità.

Mi piace concludere con un pensiero che condivido di Eugenio Montale:

L’uomo coltiva la propria infelicità per avere il gusto di combatterla a piccole dosi.

Questo per dire che il primo passo per combattere l’infelicità è quello di conoscerla a fondo, riconoscendo dentro di noi il caos e i conflitti che ci abitano per soddisfare nvece la nostra dignità di essere umani.

Per consulenze psicologiche, psicoterapia, seminari o altre richieste, puoi scrivere a Gioele D’Ambrosio oppure telefonargli al 339.7098160.


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Gioele D'Ambrosio

Psicologo, psicoterapeuta. Esperto in disturbi d'ansia e dell'umore, attacchi di panico, dipendenze affettive, supporto alla genitorialità e alla famiglia. Conduce gruppi per la crescita personale, lo sviluppo della consapevolezza e della spontaneità. Leggi gli altri articoli di Gioele D'Ambrosio.

Una risposta

  1. Giuseppe ha detto:

    Sono molto pessimista, non credo nello psicologo professionista; essere professionista lo rende mercenario come può essere un commerciante. Se, l’uomo che ha bisogno dello psicologo, avesse la capacità di corregli dietro con tutti gli accorgimenti richiesti,non sarebbe in difficoltà. Non solo,il vero bisognoso può anche crepare.Allo psicologo manca tutto, dico proprio tutto, ha solo. come tutti,l’obiettivo esclusivamente remunerativo, cosa che, tra l’altro, gli impedisce di essere efficace e sereno. Ogni prestazione è lavoro e va pagata,ma i modi spregiudicati che tolgono ogni minimo comportamento umano,evidenziano una umanità priva di ogni valore indispensabile alla felicità di ognuno.