Hikikomori: il ruolo dei genitori nella scelta di isolarsi dal mondo

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Nella prima parte di questo articolo sull’hikikomori, dicevo che l’isolamento hikikomori dal mondo esterno deriverebbe da molti elementi e sottolineavo come il ritirarsi dalle relazioni permetterebbe, ad esempio, di sottrarsi a quel conformismo, aspetto cardine della cultura giapponese, che vorrebbe un intero popolo accomunato da identici comportamenti, atteggiamenti, idee e valori. Rispetto all’isolamento degli hikikomori, sottolineavo anche il ruolo della vergogna e accennavo alla vergogna per il non riuscire a soddisfare le aspettative dei genitori. In questa seconda parte farò alcune considerazioni sull’organizzazione della famiglia giapponese e gli stili educativi dei genitori, altri punti rilevanti per cercare di spiegare l’hikikomori.

 

L’impossibile svincolo dai genitori

hikikomori e ruolo dei genitoriNella famiglia attuale giapponese, per certi aspetti simile a quella occidentale, il padre è spesso assente, assorbito dal lavoro, mentre la madre ha il compito istituzionale di educare i figli in modo tale che si integrino in modo armonico nella società, come i pezzi di un orologio.

Nel perseguire questo obiettivo sociale di conformismo e controllo, la madre giapponese è sola: non c’è una coppia di genitori che educa. Accade così che tra madre e figli si crei una simbiosi e che i figli, soprattutto il maschio primogenito, crescano con un sentimento di estrema dipendenza (in giapponese, amae), iperprotetti e iperaccuditi, cosa che di fatto impedisce ai figli uno sviluppo psicologico autonomo e li incatena alla madre. Il rischio che i figli rimangano impigliati in tale simbiosi è accresciuto dal fatto che il padre di rado interviene come terzo elemento a separare la coppia madre-figlio.

 

Hikikomori e aspettative dei genitori

Il padre è presente come modello da imitare: è una figura che affascina e fa paura, di cui condividere l’abnegazione per il lavoro. Il padre è la società e i suoi valori e al figlio spetta il compito di portarli avanti e realizzarli. Al figlio spetta il compito di studiare mesi e mesi per superare gli esami d’ammissione all’università, di sostenere e vincere la competizione lavorativa, di avere successo. Resistere al peso di tali aspettative non è facile.
Il mondo non è però quella bolla in cui la madre lo ha cresciuto, accordandogli tutto. Dinanzi alle sfide che la vita pone dinanzi, un figlio cresciuto con un’educazione che ha eliminato le frustrazioni e che pone al tempo stesso aspettative elevate di fatto si troverà impreparato.

Il mondo diventa così un luogo sempre più crudele, sempre più scomodo. E il divario tra ciò che si riesce a fare e a essere e ciò che i genitori si aspettano appare incolmabile: una cosa è la realtà, un’altra è ciò che si desidera e questi aspetti sembra non riescano a incontrarsi. E anche in questo caso emerge la vergogna. Si vergogna il figlio, perché ha deluso i genitori. E si vergognano i genitori di un figlio che è rimasto indietro rispetto agli altri.

La propria camera diventa così, a poco a poco, l’unico posto in cui non si sta poi così male. Il posto in cui non si corrono troppi pericoli e ci si sente al sicuro quanto basta per continuare a sopravvivere. Per gli hikikomori, l’isolamento è una via che salva da possibili fallimenti e delusioni e al tempo stesso una silenziosa dichiarazione di resa al mondo.

Gli hikikomori. Un silenzio assordante e un futuro privo di speranza.

Chiudo con le parole del buon Giorgio Gaber, da C’è solo la strada

C’è solo la strada
su cui puoi contare
la strada è l’unica salvezza.

C’è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada nella piazza.

Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.

[…]

Perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.

 

Per approfondire

Ricci. C. (2008). Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione. Franco Angeli

 

Photo credit: The U.S. National Archives

 

Rosalia Giammetta, psicologa e psicoterapeuta, è responsabile dell’area prevenzione dei comportamenti a rischio in adolescenza per l’associazione PreSaM onlus. Nell’ambito dell’educazione alla salute e della peer education, ha condotto numerose attività di formazione e ha pubblicato il volume L’adolescenza come risorsa. Per saperne di più, visita la sua pagina personale e leggi gli altri articoli.

Per consulenze psicologiche, psicoterapia, scrittura di progetti, seminari o altre richieste, puoi scriverle una mail oppure telefonarle al 349.8195168.

 


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Rosalia Giammetta

Psicologa, psicoterapeuta a orientamento psicodinamico, specialista in disturbi d'ansia, esperta in psicologia dell'adolescenza e dinamiche di gruppo, progettista. Leggi gli altri articoli di Rosalia Giammetta.

9 Risposte

  1. alessio ha detto:

    perchè non avete pubblicato il mio commento?

  2. Alessio ha detto:

    Per fortuna c’è lei, la mia psicologa. La mia salvatrice.
    Spero un giorno di raggiungere un livello di coscienza tale da poter aiutare qualcuno come me, come lei o forse anche come te, ridarli la libertà che li spetta e riaccendere la speranza che in fondo è lì. Tanto tempo perso ma molto ancora da vivere.
    FORZA HIKIKOMORIII!!!

  3. Gabriella ha detto:

    Mi sono tristemente ritrovata nella descrizione dell’Hikikomori.
    Qual è il primo passo da fare tornare a vivere? Vivere davvero.
    In che direzione bisogna andare?
    Grazie.

    • Rosalia Giammetta ha detto:

      Gabriella, si faccia aiutare, ad esempio da un operatore professionale che si rechi al suo domicilio e letteralmente la accompagni e la sostenga fuori casa.

  4. V.Hayat ha detto:

    articolo scritto benissimo e assolutamente veritiero.

  5. kiri ha detto:

    Sono una hikikomori.
    Tutto vero. Gran parte dipende dalla mia personalità, ma di certo l’educazione rigida imposta dalla mia famiglia ha avuto un ruolo fondamentale nel rendermi ciò che sono.