Pregiudizio e razzismo nei fumetti e film: gli X-Men

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Il razzismo non è solo cosa d’altri tempi.

Il 26 aprile scorso ha aperto, nel Michigan, un museo interamente dedicato alla storia del razzismo negli Stati Uniti, il Jim Crow Museum of Racist Memorabilia. Il fondatore, David Pilgrim, sottolinea come l’obiettivo di questa iniziativa sia l’insegnamento della tolleranza.

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Uno dei pezzi su Obama presenti al Jim Crow Museum of Racist Memorabilia

E di tolleranza, o meglio di integrazione, sembra ci sia costantemente bisogno, se tra i 9000 pezzi esposti ce ne sono alcuni recenti, relativi alla campagna di Obama per le presidenziali. Vale allora la pena cercare di capire quali siano le radici del razzismo e del pregiudizio.

 

Pregiudizio: un modo di pensare molto semplice, anzi semplicistico

Tutti gli esseri umani hanno la tendenza a classificare esperienze, cose e persone inserendole in categorie più generali che partono dalla individuazione di somiglianze. Ad esempio, utilizzando come criterio la nazionalità, collocherò un italiano, un norvegese e un polacco nella categoria “persone europee”. Altri criteri di categorizzazione possono essere il lavoro, l’età, la religione.

Pensare mediante categorie ci aiuta a fare ordine e dare un senso alla enorme massa di informazioni che proviene dall’esterno, consentendoci di analizzarle rapidamente. Se il nostro pensiero non funzionasse in questo modo, saremmo sommersi dalla complessità del mondo.

A volte però il pensare per categorie non si basa sulla conoscenza precisa e diretta di un fatto o di una certa persona ma distorce la realtà. È quanto succede quando utilizziamo degli stereotipi, cioè delle idee abbastanza semplici che riteniamo valide per tutte le persone che appartengono a un gruppo. Ad esempio, la frase “chi porta gli occhiali studia molto” è uno stereotipo che mi farà considerare che tutte le persone con gli occhiali senza eccezione studino molto.

Categorie e stereotipi permettono di avere delle aspettative sul modo in cui sono le altre persone agiscono, ne rendono prevedibile il comportamento. Questo, entro una certa misura, rende più semplice prendere decisioni, ma espone a molti errori. Tornando allo stereotipo degli occhiali, un selezionatore può scegliere un candidato che porta gli occhiali ritenendolo “a pelle” più preparato e serio di altri, per scoprire in un secondo momento che non è così.

Quando attribuisce caratteristiche negative a tutti i membri di un gruppo di persone per il solo fatto che sono membri di quel gruppo, lo stereotipo diventa un pregiudizio.

Quando il pregiudizio si applica a un intero popolo si parla di razzismo. Nel razzismo cioè consideriamo che l’appartenenza a una popolazione o il colore della pelle siano di per sé sufficienti a racchiudere l’intero carattere di una persona, in un modo che non ammette eccezioni. Se penso che i sumeri siano dei ladri, lo penserò di tutti quanti i sumeri e il fatto di non conoscerne direttamente neanche uno non ha nessuna importanza, dal mio punto di vista, sulla correttezza del mio pensiero.

Se non assumo una persona per il semplice fatto che è sumera, al razzismo aggiungo la discriminazione.

 

L’autostima innanzitutto

A tutti sarà capitato da piccoli di essere insieme a tanti amici e di doversi dividere in più gruppetti per fare un gioco a squadre: anche se c’eravamo finiti in modo del tutto casuale, stare in una squadra era di per sé un motivo per entrare immediatamente in competizione con l’altra squadra e per discriminarne chi ne faceva parte.

Pregiudizio, razzismo e autostima

Tutto per la mia autostima!

Secondo la Teoria dell’Identità Sociale, è come se io mi sentissi un tutt’uno con il gruppo (o i gruppi) a cui appartengo e a cui mi legano idee politiche, religione, fede calcistica o gusti musicali: le risposte che posso dare alla domanda “chi sono?” derivano anche dalle caratteristiche dei gruppi a cui mi sento vicina. Così, parlando di se stessa, una persona potrà descriversi come una che ascolta musica jazz oppure un taxista.

I problemi cominciano quando confronto il mio gruppo con gli altri e comincio a pensare che il mio gruppo sia non solo importante di per sé ma migliore degli altri gruppi: se ho un atteggiamento favorevole nei confronti del mio gruppo e negativo nei confronti dell’altro, considerando che io e il mio gruppo siamo la stessa cosa, anche la valutazione che ho di me migliorerà, cioè ci guadagnerò in autostima.

Il pregiudizio razzista di cui fa le spese un certo gruppo mi permette allora di immaginare di essere migliore di quel gruppo, di aumentare la mia autostima, di stare meglio. A spese degli altri, certo.

 

Pregiudizio e razzismo nei fumetti e nei film: il mondo degli X-Men

Gli X-Men sono un gruppo di supereroi dei fumetti creati dagli statunitensi Lee e Kirby nel lontano 1963. L’idea di base è che alcune persone, gli X-Men appunto, nascano con un gene nuovo, il gene X, che gli umani non hanno e che conferisce agli X-Men delle abilità particolari, anzi delle super-abilità; ad esempio, l’Angelo ha le ali e vola, Ciclope emette dagli occhi un raggio di energia.

Gli X-Men sono divisi in due fazioni principali, una guidata dal professor X che sogna un mondo in cui umani e mutanti vivano in armonia, e un’altra che fa capo a Magneto. Magneto, è un ebreo che teme che l’odio e la violenza da lui vissuti nei campi di concentramento nazisti possano ripetersi nei confronti dei mutanti; privo dell’illusione di serena convivenza vagheggiata dal professor X, Magneto sostiene la superiorità degli X-Men ed è ostile agli umani.

Gli X-Men sono odiati, spaventano e sono disprezzati dall’umanità per il solo fatto di essere mutanti, cioè sulla base di un pregiudizio. Gli umani non prestano alcuna attenzione alla individualità degli X-Men né considerano che le super-abilità potrebbero essere una ricchezza per tutti. Al contrario, è sufficiente categorizzare un essere come un mutante per volerlo morto.

 

 

Riprendendo le considerazioni fatte prima sulla psicologia del pregiudizio e il razzismo, all’inizio c’è la categorizzazione sociale: gli umani collocano tutti gli X-Men in un’unica categoria, utilizzando come criterio la mutazione genetica. La categoria X-Men descrive, in modo superficiale, tutti gli X-Men e cancella le particolarità di ogni singolo X-Men. Gli X-Men possono appartenere dunque soltanto a questa categoria e a nessun’altra.

Il passo successivo riguarda l’identità sociale, cioè il fatto che il modo in cui sono deriva anche dalle caratteristiche che hanno i gruppi a cui appartengo. Quali sono le peculiarità del gruppo degli umani e quali quelle del gruppo degli X-Men? Sono stabilite già in origine. Secondo gli umani, la categoria degli X-Men è in contrapposizione a quella degli umani: gli X-Men sono essenzialmente non-umani, sono dei mutanti.

Confrontandoli con se stessi, gli umani vedono gli X-Men come mostruosi e pericolosi, li temono. Il pregiudizio colpisce gli X-Men per il solo fatto di essere X-Men, a prescindere da quello che effettivamente fanno. Quando gli umani cominciano a pensare che è meglio eliminare gli X-Men, al pregiudizio razzista si aggiungono la discriminazione e la persecuzione: il governo fa costruire dei robot Sentinella per combattere e annientare gli X-Men, approva un Atto di Registrazione dei Mutanti, sviluppa una tecnologia che li guarisca dal gene-X, attua l’Operazione: Zero Tolerance. Vi sono poi diversi gruppi che hanno per obiettivo lo sterminio degli X-Men e che ricordano il Ku Klux Klan, ad esempio gli Amici dell’Umanità, i Purificatori, la Chiesa dell’Umanità.

A dispetto delle loro super-abilità, non è facile la vita per gli X-Men. Come dice Magneto nel primo film sugli X-Men:

Non esiste nessun paese tollerante. Non esiste pace, né qui né in nessun altro posto. Donne, bambini, intere famiglie distrutte semplicemente perché erano nati diversi.

 

Per approfondire

Allport G.W. (1954), La natura del pregiudizio, La Nuova Italia, Firenze, 1973.

Tajfel H. (1981), Gruppi Umani e Categorie Sociali, il Mulino, Bologna 1985.

Due o tre cose sul razzismo in Italia (e a Roma)

6 film sulla schizofrenia, dal Solista a Birdy

Hikikomori: isolarsi per troppa vergogna e dire no al conformismo

 

Photo credit: ZoiDivision | Stock.xchng | ZoiDivision

 

Rosalia Giammetta, psicologa e psicoterapeuta, si occupa di adulti e adolescenti, a Roma. In particolare, è specialista in disturbi d’ansia e depressione e nella prevenzione dei comportamenti a rischio. Ha condotto numerose attività di formazione e ha pubblicato il volume L’adolescenza come risorsa. Per saperne di più, visita la sua pagina personale e leggi gli altri articoli .

Per consulenze psicologiche, psicoterapia, scrittura di progetti, seminari o altre richieste, puoi scriverle una mail su [email protected] oppure telefonarle al 349.8195168 e prendere un appuntamento.

 


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Rosalia Giammetta

Psicologa, psicoterapeuta a orientamento psicodinamico, specialista in disturbi d'ansia, esperta in psicologia dell'adolescenza e dinamiche di gruppo, progettista. Leggi gli altri articoli di Rosalia Giammetta.