Malattia: sintomi e guarigione

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Perché ci si ammala?

L’incontro con la malattia e di conseguenza con la sofferenza può metterci di fronte a una serie d’interrogativi cui non sempre e non facilmente siamo in grado di dare una risposta: è utile la sofferenza? È inevitabile? A cosa serve? Come possiamo viverla? Soprattutto, ha un significato? Può rappresentare un’opportunità di crescita in una fase specifica della nostra vita oppure si tratta solo di un’occasione di regressione, di difesa e di chiusura alla vita?

Prima di cercare delle risposte a questi interrogativi, è utile fare alcune premesse sul concetto di malattia:

  • Il confine fra ciò che si considera normale e ciò che si considera patologico non è netto ma è soggettivo, ossia dipende dall’osservatore (medico, psicoterapeuta, ecc…).
  • Non esistono malattie ma individui malati, nel senso che è importante leggere la malattia all’interno della storia personale di ogni individuo, che è unica e irripetibile.
  • Ogni malato vive e soffre la sua malattia in modo particolare, non soltanto per la natura e la gravità della disfunzione, ma anche e soprattutto per le ripercussioni psicologiche e per le conseguenze sociali che la malattia provoca.
  • La malattia non è un evento esclusivamente biologico, né esclusivamente psicologico o sociale/relazionale; ma è tutto questo messo insieme. Essere malato significa, prima di tutto, essere un altro e subire un cambiamento nel proprio modo di essere.

Quello che si può intanto affermare è che esistono delle cause psicologiche che possono arrivare a produrre disturbi fisici, oppure neuro-psichici, le cui principali sono: i traumi psichici, i conflitti, le frustrazioni. Ma, affinché queste cause producano dei veri e propri disturbi fisici e psichici, affinché facciano per così dire “ammalare”, occorre però che ad esse si aggiungano altre cause o condizioni, tra le quali:

  • Un punto debole, o  meglio un “luogo di minor resistenza”, nel corpo o nella psiche;
  • Il trauma o i conflitti siano di una tale gravità o intensità, oggettiva o soggettiva, da superare le normali resistenze; si parla d’intensità soggettiva, poiché l’intensità dell’effetto di un trauma o di un conflitto è in funzione dell’importanza che il soggetto dà ad essi. Uno stesso trauma può esser superato abbastanza facilmente da una persona, o, invece, produrre disturbi anche gravi in un’altra. Questo elemento soggettivo di valutazione è importantissimo, perché è un elemento sul quale si può certamente agire, per esempio nel contesto di una psicoterapia.
  • Le reazioni psichiche individuali; le reazioni più frequenti sono due: paura e ribellione. La paura porta a uno stato di preoccupazione, d’attesa ansiosa che accentua e fissa i sintomi. Il rifiuto è verso ciò che può farci star male; a questo possono far seguito lo sbigottimento, la collera, la depressione, la disperazione, la passiva rassegnazione. La preoccupazione principale diventa per se stessi e per la propria salute psicofisica e si mette in atto un disinvestimento degli interessi affettivi dalla realtà esterna per investirli su di sé. C’è chiusura alla vita e agli altri.

Chi si considera “un malato” s’identifica non soltanto col proprio corpo, ma anche con la malattia, e perciò è indotto a sentirsi in balia di questa, come posseduto da essa. Quest’attenzione ansiosa rivolta ai propri disturbi, ai propri sintomi, porta ad accentuarli e a fissarli, ossia a bloccarli.

La distinzione fra sé e il corpo, e anche fra sé e i mutevoli stati d’animo con cui ci identifichiamo di volta in volta non é sicuramente facile, ma è certamente possibile. Possibile certamente attraverso un percorso psicoterapeutico, grazie al quale la persona possa disidentificarsi dal suo “essere malato” e torni ad agire dal centro, senza più complessi e condizionamenti.

 

I sintomi hanno un significato?

Spesso le manifestazioni sintomatiche esprimono un mancato riconoscimento del reale stato di sofferenza. C’è certamente una causa primaria di sofferenza, che però non viene riconosciuta, ascoltata, e quindi accettata e integrata con cura amorevole. In altri termini, la produzione di sintomi, se da un lato denuncia la perdita del benessere, dall’altro determina, attraverso un diverso riadattamento nella vita quotidiana, l’allontanamento dell’individuo dal suo profondo, spesso inconscio, nucleo di sofferenza e lo sviluppo di un conseguente stato d’alienazione, prima di tutto da se stesso e poi dal resto del mondo.

Il sintomo rappresenta, in fondo, una soluzione nei conflitti psichici, una “soluzione di compromesso”. Si potrebbe anche dire che un sintomo è la soluzione automatica di tutte le circostanze in atto, nel mondo psichico dell’individuo, in un determinato momento.

Il sintomo può corrispondere in pieno alla spia della nostra automobile. Qualunque cosa si manifesta nel nostro corpo sotto forma di sintomo, è espressione visibile di un processo invisibile, di qualcosa che non è in ordine e che quindi necessita di osservazione, attenzione e di cura amorevole. Il sintomo quindi non deve essere represso, cancellato, ma reso superfluo. Per ottenere questo però bisogna distogliere lo sguardo dal sintomo e concentrare l’attenzione più in profondità, così da capire quello che il sintomo vuole indicare. Il sintomo è latore di segnali e informazioni, in quanto interrompe, manifestandosi, il corso normale della vita di un individuo e lo costringe a dare importanza ad altro. I nostri sintomi hanno cose più importanti da dirci del nostro prossimo, perché sono partner più stretti, più intimi, ci appartengono totalmente e sono gli unici che ci conoscono davvero. Il sintomo c’informa che qualcosa ci manca, che qualcosa non va. E questo qualcosa manca sempre a livello di coscienza.

La guarigione nasce soltanto da una malattia trasmutata e mai da un sintomo vinto, perché la guarigione presuppone che l’uomo diventi più sano, cioè più integro, più armonizzato in tutte le sue parti. La guarigione avviene attraverso l’annessione di ciò che manca, perché inconscio, e non è quindi possibile senza una dilatazione della coscienza.

 

Esiste una responsabilità individuale?

Un aspetto importante da considerare è che tutte le forme di disagio psichico hanno una componente di responsabilità individuale. Nonostante diverse categorie d’eventi sfortunati o l’eredità genetica possano essere la causa o la concausa di sofferenza e patologia psichica, ogni individuo può avere un ruolo fondamentale nel creare, mantenere ed estendere quella stessa sofferenza e patologia. La comprensione profonda della propria responsabilità nel generare e perpetuare la patologia è essenziale: nella maggior parte delle psicoterapie ben riuscite questo è un fattore di primaria importanza. L’intervento curativo quindi, sia esso di natura farmacologica o psicoterapica, si dovrebbe porre come portatore di pace, volto cioè a richiamare l’individuo alle proprie responsabilità, alle proprie capacità di risposta rispetto ad accadimenti sia esterni che interni. Questa presa di coscienza, che è attenzione alla propria fragile realtà, alla propria vulnerabilità, diventa così consapevolezza dei propri limiti e costituisce il primo passo indispensabile verso un cambiamento interiore salutare e duraturo nel tempo.

Vivere la sofferenza propria e degli altri come opportunità di cambiamento e di trasformazione rappresenta certamente una sfida per noi esseri umani. Sfida che può essere accolta oppure rifiutata.

 

La guarigione è un processo

Parlare di guarigione presuppone l’esistenza di qualcosa da cui vogliamo guarire, una malattia fisica o psichica, un dolore, un disagio psichico, interiore, relazionale, esistenziale, un qualsiasi sintomo che ci arreca sofferenza. Ma guarire non significa semplicemente eliminare i sintomi che disturbano, anche se, per moltissimo tempo, nel campo della medicina, si è intesa la salute proprio come “assenza di malattia e delle relative manifestazioni”. È stata l’Organizzazione Mondiale della Sanità a modificare radicalmente, nel 1948, tale prospettiva, definendo la salute come uno “stato di completo benessere al tempo stesso fisico, psichico e sociale e non la semplice assenza di malattia o infermità”. Chiaramente è molto difficile trovare persone che siano in uno stato di completo benessere al tempo stesso fisico, psichico e sociale. Si tratta più di una definizione di uno stato ideale di salute, una meta a cui tendere. La guarigione perciò va intesa in una concezione psicodinamica, ossia guarigione come processo, processo che tende al recupero di uno stato di benessere fisico e psichico, sul quale ogni essere umano possa intervenire in maniera attiva ed efficace.

Non è un caso che etimologicamente la parola guarire deriva dall’antico germanico waryan, da cui proviene il termine tedesco wehren, che aveva in tempi antichi il significato di difendere un accampamento, dunque difendere da aggressioni esterne la vita normale. Il senso si è poi ampliato in quello di difendere in generale, prevenire, impedire qualcosa a qualcuno, risanare, restituire in salute, porre rimedio. Il senso è dunque quello di difendere l’integrità funzionale e ben organizzata di un centro, e di riportarla a uno stato d’equilibrio qualora intervengano degli elementi esterni capaci di destabilizzare lo stato d’equilibrio.

Si tratta quindi di una visione dinamica del processo di guarigione, che tende continuamente a raggiungere un nuovo equilibrio e che, applicato alla realtà della persona malata, include anche la capacità di apprendere dall’esperienza fatta per esempio nel contesto di una psicoterapia. In questo modo il processo diventa evolutivo, in quanto tende da una parte a una fortificazione della struttura della personalità, per reggere sempre meglio agli eventuali attacchi della realtà destrutturante esterna o interna, e dall’altra all’impiego delle energie resesi disponibili dallo scioglimento dei conflitti interni, per progetti più maturi e certamente più creativi.

 

Bibliografia

Alberto Alberti, L’uomo che soffre, l’uomo che cura, Edizioni Panini,1997

Thorwald Dethlefsen e Rudiger Dahlke, Malattia e destino, Ed. Mediterranee, 2007

Piero Ferrucci, “Crescere”, Ed. Astrolabio, 1981

Vittorio Lingiardi, La personalità e i suoi disturbi, Il Saggiatore, 2001

Luciano Marchino e Monique Mizrahil, Il corpo non mente, Saggi Frassinelli, 2004

Maria Teresa Marraffa, Vivere la sofferenza come possibilità di trasformazione, Ed. Istituto di Psicosintesi, Milano

Susan Sontag (1977), Malattia come metafora. Aids e cancro, Einaudi, 1979

 


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Cristiana Milla

Psicologa, psicoterapeuta. Esperta in disturbi d'ansia, disturbi alimentari, difficoltà sessuali, dipendenze affettive, supporto alla genitorialità e alla famiglia. Collabora con l'Istituto di Psicosintesi di Roma. Leggi gli altri articoli di Cristiana Milla.

3 Risposte

  1. Loredana ha detto:

    Non avevo mai pensato al significato psicologico che possono avere i nostri sintomi, anche fisici. Mi si è aperto un mondo! Grazie!

  1. 5 Dicembre 2015

    […] portarci sulle spalle ciò che è stato e ci renderà infelici. Siamo noi a prolungare la nostra sofferenza perché facciamo diventare i ricordi, i rimpianti, i rimorsi gli anelli di una catena che ci lega al […]

  2. 4 Marzo 2016

    […] una domanda a cui non ci può essere risposta unica. La guarigione può essere la scomparsa di un sintomo doloroso, ma la scomparsa di quel sintomo doloroso va di pari […]