Il DSM-5 cambierà le diagnosi in psichiatria e psicologia?
La frittata è fatta. Questo fine settimana l’Associazione psichiatrica americana ha presentato, in un meeting a San Francisco, la versione definitiva del DSM-5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali più utilizzato al mondo e giunto ormai alla quinta edizione (senza contare le revisioni extra). Per l’edizione 5 i lavori sono durati undici anni, le critiche suscitate infinite, gli elogi pochi. Di cosa sto parlando? Il DSM è un sistema di classificazione usato in psichiatria e psicologia per formulare una diagnosi di disturbo mentale sulla base di informazioni di vario tipo. Oltre a ciò, il DSM permette a psichiatri, psicologi e ad altri professionisti che si occupano di salute mentale di avere un linguaggio comune e quindi di poter comunicare.
Il DSM è però molto di più che un catalogo dei disturbi. È un’operazione culturale che risente del clima generale che si respira e che ha a sua volta delle ripercussioni profonde sul modo in cui viene vista, descritta e trattata da professionisti e non la sofferenza umana e su ciò che è considerato patologia: l’omosessualità, ad esempio, nel DSM-I (1952) era classificata nei “disturbi sociopatici di personalità”, nel DSM-III (1974) era considerata patologica solo se vissuta con dolore e angoscia, nel DSM-IV (1994) è del tutto scomparsa come categoria diagnostica.
Il DSM ricade nella vita quotidiana di tante persone e non è solo questione che riguarda i tecnici della salute mentale. Le compagnie d’assicurazione chiedono una diagnosi basata sul DSM per concedere i rimborsi e una diagnosi col DSM è tra i fattori che permettono l’accesso a quei servizi di welfare legati alla disabilità, dalla pensione d’invalidità all’assistenza specialistica a scuola. Per non dire dei farmaci.
Cosa c’è di allarmante nel DSM-5? C’è che i criteri per fare diagnosi sono stati in diversi casi modificati, con la conseguenza che la probabilità che a una persona venga fatta diagnosi di disturbo mentale è aumentata o, al contrario, che alcuni non rientrino più nella diagnosi che avevano in precedenza.
Per chiarire quali conseguenze possono venire dalla psichiatria del DSM-5, faccio due esempi, il primo sulla depressione maggiore, il secondo sull’autismo.
La nuova psichiatria: il lutto diventa depressione maggiore
Con il DSM-5, una persona che ha patito un lutto ha due settimane per elaborare la perdita della persona cara e smettere di disperarsi. Se la persona a lutto si sente triste e inutile, priva di forze e apatica o fa fatica ad addormentarsi o a mangiare per più di due settimane, beh, questo stato non è più ritenuto come connesso a una condizione di lutto ma è depressione maggiore.
È ovvio che una condizione di lutto può sfociare in una depressione, ma qui il rischio è quello di eliminare le emozioni dalla vita, di considerarle un peso anziché una bussola su noi stessi e il nostro mondo, di credere che infelicità e tristezza siano patologia, non dimensioni dell’umano. Il rischio è svuotare la vita stessa di significato. E spingere una persona a trattamenti (farmacologici e non) inutili.
Con la psichiatria del DSM-5 minori diagnosi di autismo?
La psichiatria del DSM-5 ha diminuito i criteri relativi alla diagnosi di autismo, portandoli a due, cioè disfunzioni nella comunicazione sociale e comportamenti ripetitivi.
Che succede se, con il DSM-5, di una data persona non possiamo più dire che sia affetta da autismo? È un’evenienza che riguarderà 9 bambini su 100. Questi bambini perderanno il diritto a trattamenti riabilitativi? Avranno una riduzione del numero di ore di assistenza domiciliare?
A ciascuno la sua diagnosi
Certo, la psichiatria sottesa al DSM-5 ha di buono che considera patologia e normalità lungo un continuum. Questa logica della nuova psichiatria e psicologia è però applicata in modo tale che nel DSM-5 tanti comportamenti vengono ritenuti, sulla base di criteri molto imprecisi, patologia e che è facilissimo finire dentro una diagnosi.
Un esempio: il Binge eating disorder, che è un disturbo del comportamento alimentare. Il Binge eating disorder si riferisce a episodi che si presentano almeno una volta a settimana per tre mesi e in cui si mangia in breve tempo molto più cibo di quanto farebbe la maggior parte delle persone in circostanze analoghe, con la sensazione sgradevole di non riuscire a controllarsi. Potrebbero rientrare nel Binge eating disorder le cene con gli amici in cui mangiamo in eccesso anche se sappiamo che non ci fa bene?
Qual è la mia conclusione su questo manuale che descrive decine e decine di disturbi in quasi mille pagine? Il DSM-5, come qualsiasi altro sistema nosografico, da solo non basta per fare diagnosi in psichiatria e psicologia. Fare diagnosi è complesso, non è sufficiente conoscere l’elenco dei sintomi patologia per patologia. Bisogna che guardiamo chi abbiamo di fronte. Scopriremo che si tratta di persone. In carne e ossa.
Photo credit: ddpavumba
Rosalia Giammetta, psicologa e psicoterapeuta, è responsabile dell’area prevenzione dei comportamenti a rischio in adolescenza per l’associazione PreSaM onlus. Nell’ambito dell’educazione alla salute e della peer education, ha condotto numerose attività di formazione e ha pubblicato il volume L’adolescenza come risorsa. Per saperne di più, visita la sua pagina personale e leggi gli altri articoli.
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La Diagnosi è tutto quello che la persona non è!
La diagnosi da sola non serve a molto e non può mai essere più importante della relazione con la persona che sta male. Grazie per aver lasciato un commento, Franco!
molto interessante
Grazie, Giovanna! Mi fa piacere che l’articolo ti sia piaciuto.