La felicità? È nelle relazioni familiari, d’amore e d’amicizia

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La felicità dipende dall’avere qualcuno su cui contare e, in seconda battuta, dal reddito. Per gli italiani è così, se si seguono i dati presentati da John Helliwell venerdì, in una piacevolissima Lectio Magistralis all’interno del Festival delle Scienze. Helliwell è l’economista che, insieme a Layard e a Sachs, ha stilato nella primavera scorsa il primo Rapporto Mondiale sulla felicità (World Happiness Report) e, all’Auditorium di Roma, ha specificato cosa contribuisce alla felicità per noi italiani. Secondo la ricerca di Helliwell, per gli italiani l’elemento che più di ogni altro contribuisce al sentirsi felici è il supporto sociale, la sensazione di avere accanto qualcuno che sarà d’aiuto se ci dovessero essere guai: la felicità è nelle relazioni familiari, d’amore e d’amicizia.

 

Felicità e relazioni

Senza relazioni stabili, intime, è dunque difficile sentirsi, soddisfatti, felici, sentirsi bene. Sono relazioni uniche e non intercambiabili, in cui l’identità dell’altra persona è fondamentale: una persona non vale un’altra.

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E sono relazioni reciproche, basate su di uno scambio che coinvolge entrambi e attraversate dalla gratitudine: non si può essere amici di una persona senza che anche questa lo sia.

Per dirla con Aristotele,

Nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni. […] a che serve una simile prosperità se le si toglie la possibilità di fare del bene agli altri?

Non si tratta solo della possibilità di ricevere aiuto all’interno di relazioni strette. Helliwell colloca al quarto posto – al terzo c’è la libertà di compiere delle scelte – la generosità, che è fare beneficienza ma soprattutto impegnarsi in azioni di volontariato e solidarietà, porsi al servizio della comunità.

Per la nostra felicità assume allora particolare importanza quello che i sociologi chiamano capitale sociale, che è l’insieme delle relazioni familiari, d’amore e d’amicizia coi loro aspetti di cooperazione, stabilità nel tempo, reciprocità e fiducia.

 

Felicità e soldi

Al di là delle ipocrisie e di certe banalità sul tema, i soldi fanno la felicità, nella misura in cui ci permettono una vita dignitosa. Avere però molti più soldi rispetto a quelli necessari per una vita abbastanza comoda non ci rende più felici, a meno che, come detto nel paragrafo precedente, non diventi generosità verso chi soldi non ha.

E non ci rende più felici usare i soldi per comprare oggetti più o meno utili, se è vero che le emozioni positive sono legate più al desiderio dell’acquisto che al possesso dell’oggetto. La felicità non sembra essere in vendita al supermercato.

Di certo ci rende infelici perdere il lavoro: la disoccupazione è una delle principali cause di infelicità, per la perdita di reddito e per la perdita di un ruolo sociale. E, in assenza di risorse personali e sociali adeguate, alcune persone purtroppo considerano il suicidio come una soluzione.

 

 

Felicità e il sentirsi attivi

Nei dati di John Helliwell la libertà di compiere delle scelte, di decidere cosa fare della propria vita è per gli italiani il terzo fattore che influenza la sensazione di essere felici.

Compiere delle scelte significa maturare una competenza, porsi degli obiettivi e impegnarsi per raggiungerli, nonostante le inevitabili difficoltà. La felicità ha allora un aspetto strategico. E richiede fatica.

 

La normale infelicità e la mindfulness

La felicità passa attraverso difficoltà, delusioni e pene, certo. Freud, che aveva dell’umanità e delle sue possibilità una visione alquanto realista, diceva che la psicoanalisi può solo trasformare la sofferenza nevrotica in normale infelicità: l’analisi e la psicoterapia non possono cancellare il dolore, perché il dolore fa parte dell’umana esistenza.

L’analisi e la psicoterapia possono però mettere in grado di affrontare questo dolore in modo più adeguato. Senza ricorrere a difese che, a conti fatti, non aiutano. Lontano da un certo obbligo di essere felici, sempre allegri e contenti, mai tristi, che, oltre a essere irrealistico, soffoca il cuore e il pensiero.

Da questo punto di vista, l’ottica della psicoanalisi è simile a quella del buddismo e alla pratica della mindfulness, cioè del porre l’attenzione su ciò che stiamo vivendo, sia che si tratti di  qualcosa di negativo che di qualcosa di positivo. E la felicità si declina come la capacità di mantenerci curiosi rispetto all’esperienza, in una condizione di apertura e di conoscenza nei confronti del mondo, di sintonia. Un grande psicoanalista come Bion indicava questa capacità come “essere all’unisono” con gli altri, in grado di “stare veramente con qualcuno.”

 

P.S.: per completezza, secondo John Helliwell a spiegare la sensazione di felicità degli italiani sono, in ordine decrescente di importanza:

  • relazioni sociali di supporto;
  • reddito;
  • libertà di compiere delle scelte;
  • generosità;
  • aspettative di avere una vita sana;
  • assenza di corruzione e quindi fiducia nella politica e nel mondo degli affari.

 

Photo credit: morgueFile

 

Rosalia Giammetta, psicologa e psicoterapeuta, è responsabile dell’area prevenzione dei comportamenti a rischio in adolescenza per l’associazione PreSaM onlus. Nell’ambito dell’educazione alla salute e della peer education, ha condotto numerose attività di formazione e ha pubblicato il volume L’adolescenza come risorsa. Per saperne di più, visita la sua pagina personale e leggi gli altri articoli.

Per consulenze psicologiche, psicoterapia, scrittura di progetti, seminari o altre richieste, puoi scriverle una mail oppure telefonarle al 349.8195168.

 

 


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Rosalia Giammetta

Psicologa, psicoterapeuta a orientamento psicodinamico, specialista in disturbi d'ansia, esperta in psicologia dell'adolescenza e dinamiche di gruppo, progettista. Leggi gli altri articoli di Rosalia Giammetta.

Una risposta

  1. 7 Febbraio 2015

    […] di quelli affetti dalla sindrome di Pollyanna, che inneggiano incoscientemente entusiasti alla felicità in ogni dove. Parliamo delle persone affette da un sano […]